All’interno della Sala Capitolare dell’Ospedale Vecchio sono raccolti e conservati i preparati anatomici di Paolo Gorini sopravvissuti a Lodi fino a oggi. Si tratta di più di un centinaio di preparati umani e animali allestiti fra il 1847 e la prima metà degli anni Settanta del XIX secolo.
Paolo Gorini, che fino al 1857 insegna Fisica e Scienze Naturali presso il Liceo Comunale di Lodi, aveva messo a punto diversi metodi di preparazione anatomica. Questi andavano dalla semplice immersione del pezzo in soluzione alcoolica fino a più complesse operazioni, che prevedevano iniezioni endovasali profonde e diffuse nel cadavere. Le sostanze messo in opera, assorbendo e sostituendo i liquidi interni al corpo provvedevano a distruggere l’ambiente umido in cui nascono e prolificano i batteri responsabili della decomposizione. Se si volesse proporre un esempio contemporaneo, per quanto possa essere anche discutibile, l’operato di Gunther Von Hagens e i suoi preparati contemporanei sono idealmente simili ai lavori di Gorini. Von Hagens, tuttavia, “gommifica” i corpi e inietta nei propri allestimenti polimeri di silicone per l’uso di polimeri di silicone.
L’empirismo di Gorini lo portava a sperimentare tecniche diverse, delle quali non è stata per ora reperita altra notizia autografa a prescindere da quelle già pubblicate integralmente nel 2005 sulla rivista “Studi tanatologici” e, successivamente, spesso riproposte anche altrove (si rimanda alla sezione bibliografica). Le soluzioni adottate dallo scienziato prevedevano l’uso di conservanti allora fra più noti, fra i quali il famoso sublimato corrosivo (bicloruro di mercurio), altamente tossico e già all’epoca di Gorini spesso sostituito con cloruro o bicloruro di zinco. La Collezione si compone dunque di un numero relativamente considerevole di preparati a secco, molti dei quali di natura apertamente patologica. L’interesse per la patologia è presto chiarito, se si considera che la preparazione dei “bei casi di scienza”, come allora erano spesso indicati i casi “speciali” (che andavano dalle deformità minime fino alla teratologia), serviva a conservare agli occhi di medici e scienziati di diversa estrazione accademica esempi tangibili sui quali compiere osservazioni e studi. Sia i preparati a secco tradizionali sia le pietrificazioni di Paolo Gorini, ad ogni modo, hanno storie diverse da raccontare. Se nei volti pietrificati dallo scienziato anche il visitatore profano riconosce i tratti di una Lodi ormai dispersa, lontana e contadina, nei preparati a secco il medico e lo storico della medicina riconoscono casi patologici comuni e meno comuni, che appartengono a un passato altrettanto lontano. Per questo la Collezione Anatomica Paolo Gorini è soprattutto una raccolta di carattere storico: vi si conservano casi fortunatamente non più frequenti e, se adeguatamente investigati, i preparati di Paolo Gorini potrebbero raccontarci ancora molto delle malattie, della vita e della morte nel contesto lodigiano di primo e secondo Ottocento. Eppure, la stessa raccolta museale non può intendersi soltanto dal punto di vista storico delle scienze, ma anche dal punto di vista più marcatamente umanistico. La collezione rappresenta infatti una vera testimonianza pre-risorgimentale e risorgimentale di indubbio valore in merito all’analisi storica dei rapporti fra intento scientifico e società coeva; fra il concetto di mortalità, di fisicità e la sua cornice filosofica; fra la metafora del corpo sensibile, in cui nel secondo Ottocento si incontrarono scientismo e naturalismo, e l’anelito all’anima di cui, per altro, vivono molti versi e prose clinico-romantici della Scapigliatura e del Verismo.
I reperti conservati a Lodi possono essere suddivisi in tre categorie:
Si tratta di preparati umani e animali allestiti dallo scienziato fra la metà degli anni Trenta fino alla metà degli anni Settanta del XIX secolo, quando Gorini si rivolse allo studio dell’incenerimento delle sostanze organiche e alla cremazione. Spesso, come già scritto, si tratta di preparati di natura patologica. I preparati a secco di Paolo Gorini, per tecnica adottata nell’allestimento e altro, sono molto simili, in realtà, ai tanti preparati di scuola italiana ottocentesca conservati ancora oggi in noti musei e collezioni. Fra i molti allestimenti goriniani spiccano un rachide affetto da cifoscoliosi, un manubrio di sterno con articolazione anchilosata delle estremità distali delle clavicole, un bacino affetto da grave malformazione dell’articolazione coxo-femorale, alcuni casi di artrosi quale probabile esito di infezioni tubercolari, alcune vertebre lesionate dal morbo di Pott.
Si segnala anche una sezione longitudinale di tibia deformata a sciabola per alterazioni neoformative, un paio di fratture mal consolidate di tibia e perone, in una delle quali è possibile osservare un voluminoso callo osseo. Interessante anche la preparazione di alcune grossolane iperproduzioni ossee di natura osteosarcomatosa del tratto distale del femore.
Si notano poi una grave anomalia di conformazione di arto superiore con la mano ridotta a due dita con metacarpo ridottissimo e inserita direttamente sull’omero, la preparazione osteo-tendinea di un piede sinistro con sei dita per raddoppiamento delle falangi del quinto dito e l’allestimento di un preparato che mostra avambraccio e mano dello stesso soggetto con sindattilia per agenesia delle seconde falangi delle ultime quattro dita e della seconda falange del pollice. La cute, che conserva le appendici ungueali, è stata rimossa e applicata a guisa di guanto su supporto ligneo. Sono poi numerose le preparazioni di arti superiori e inferiori interi, patologici o meno, e in uno di essi è possibile ancora oggi notare la presenza di una cannula inserita dallo scienziato per procedere all’iniezione conservante.
Altre preparazioni sono rappresentate da numerose conservazioni mio-tendinee di bracci, avambracci, mani, gambe e piedi (spesso affetti da varismo).
Preparati a secco di più grandi dimensioni sono invece rappresentati da un esempio di conservazione di emitorace e cinto scapolare sinistro: si apprezzano le fasce mio-tendinee ben conservate e i vasi venosi e arteriosi profondi. Si ricorda poi la preparazione di un ulteriore cinto scapolare sinistro, con scapola aderente al piano costale.
Si affiancano ad esse una preparazione miologica e vascolare del capo, del collo e del cinto scapolare e una preparazione altrettanto miologica e vascolare del capo, del collo, del cinto scapolare e del braccio sinistro. Si segnalano infine una preparazione dei muscoli e dei vasi del collo con ipertrofia della tiroide particolarmente sviluppata a sinistra e un’ulteriore preparazione dei vasi del collo con conservazione dei rapporti anatomici di questo con lo sterno, i cinti scapolari e la base del cranio.
Più piccoli, ma non meno interessanti sono quattro preparazioni di emicranio sinistro con conservazione del globo oculare, una delle quali presenta fra l’altro la conservazione dei muscoli oculomotori e del nervo ottico. Accanto ad esse si segnala la preparazione della mandibola con lingua, epiglottide, trachea e muscoli ioidei e la preparazione di epiglottide, laringe e primi anelli tracheali.
Altrettanto interessanti tre preparati ginecologici: il primo contempla la preparazione dell’utero e annessi, sigma e retto. Vi si notano due voluminose cisti ovariche bilaterali; il secondo, invece, è una sezione di sinfisi pubica con conservazione dell’utero (vista posterolaterale). Il terzo caso è rappresentato dalla preparazione di una vescica femminile con conservazione dell’uretra.
Dai preparati a secco osteo-miologici si distanziano i preparati che lo scienziato indicava come pietrificati, ponendosi così nel solco di Girolamo Segato − i lavori del quale sono oggi conservati a Firenze − e del quasi contemporaneo Efisio Marini. Senz’altro suggestivi e carichi dei motivi tanatologici propri della cultura scientifica e umanistica della seconda metà dell’Ottocento, i pietrificati raccontano di Gorini e della sua epoca una propensione evidente alla conservazione celebrativa, ma non soltanto.
Nel 1872 lo scienziato lombardo viene invitato a Pisa per occuparsi della preparazione di Giuseppe Mazzini.
La reliquia di una fede laica, mummificata alla stregua di un faraone, di un santo o di un pontefice, secondo Bertani, come ricorda Sergio Luzzatto, avrebbe rappresentato in quel momento un’arma se non efficace, almeno di sicuro impatto nella lotta culturale e politica, accesissima, fra parte dello Stato laico e parte della Chiesa. Paradossalmente, a legare i due poli in opposizione su un comune terreno di scontro, in questo caso, è proprio il concetto di reliquia, intesa come perpetuazione del ricordo nella sua forma più tangibile, fisica e unica. Nel capitolo XXXII dei Promessi sposi, Alessandro Manzoni ricordava la lugubre processione dei milanesi radunati intorno al reliquiario di «san Carlo» che Federigo Borromeo, riluttante e compreso in una fede molto lontana da quella popolare di un povero e pestilenziale «volgo disperso», acconsente ad esporre «per otto giorni, sull’altar maggiore del duomo»:
Nel mezzo, tra il chiarore di più fitti lumi, tra un rumor più alto di canti, sotto un ricco baldacchino, s'avanzava la cassa, portata da quattro canonici, parati in gran pompa, che si cambiavano ogni tanto. Dai cristalli traspariva il venerato cadavere, vestito di splendidi abiti pontificali, e mitrato il teschio; e nelle forme mutilate e scomposte, si poteva ancora distinguere qualche vestigio dell'antico sembiante, quale lo rappresentano l'immagini, quale alcuni si ricordavan d'averlo visto e onorato in vita.
(Alessandro Manzoni, I promessi sposi, Mondadori, Milano 1995, p. 608)
Se ancora prima del periodo in cui Manzoni descrive la processione dei milanesi, e cioè nel medioevo soprattutto, l’incorruttibilità di un cadavere era ritenuta prova di santità, la conservazione di un vero martire della causa italiana come Mazzini, “beatificato” dai suoi seguaci, non avveniva attraverso un miracolo, ma secondo le logiche di formule chimiche, certamente segrete, ma teoricamente riproducibili e verificabili, secondo i desiderata di una religione laica e scientifica. Se poi, in tempi di materialismo, è uno scienziato a occuparsi dell’importante mummificazione, assumendo attraverso la segretezza della formula con cui opera le vesti di un sacerdote, ciò accresce il valore della reliquia stessa, facendone un’icona della modernità scientista capace di vincere la morte (o di perpetuarla in una sua continua parodia) attraverso una tecnica che diviene “mistero” e, contemporaneamente, illusorio lume scientifico. In conclusione, si osserva che l’apoftegma baconiano scientia et potentia humana in idem coincidunt, nella seconda metà del XIX secolo, rivisto e rivoluzionato alla luce umbratile della modernità, sembra mutare il proprio significato più intimo e la scientia, intesa in origine nel suo significato più vasto di conoscenza, per il materialismo positivista diviene scienza sperimentale, legandosi così al concetto di applicazione. Tale applicazione comporta necessariamente un suo contatto con la sfera del sociale, tramite l’ambito politico, così come, altrettanto, implica l’assunzione di un vero potere ideologico, oltre che conoscitivo. In un’Italia in cui medici e scienziati diventano personaggi pubblici e protagonisti ufficiali della vicenda nazionale che, con l’affermazione delle loro idee, modificano concretamente la realtà, la saldatura tra teoria e prassi, o meglio, tra ricerca scientifica e impegno politico , è certa. Lo scientismo, per altro, come atteggiamento culturale, si basa sull’esistenza della scienza, ma non è scientifico in se stesso: infatti, il suo postulato di partenza, inteso nella trasparenza della “natura delle cose”, è indimostrabile e lo stesso vale per il suo punto di arrivo, ovvero per la fabbricazione dei fini ultimi mediante il processo stesso di conoscenza. Infatti, alla sua base, così come al vertice, lo scientismo sembra esigere un vero atto di fede nei confronti della ragione.
Tuttavia, a dispetto di quanto non sperasse Agostino Bertani, che fu il vero regista della storia post mortem di Mazzini, la tecnica di Gorini non sortì i risultati sperati, date le precarie condizioni del cadavere. I risultati auspicati da Bertani erano forse quelli ottenuti da Gorini sui corpi interi conservati presso la Collezione, dove nei due corpi interi conservati nella Sala Capitolare sono ancora visibili, fra l’altro, gli accessi alla vena e all’arteria femorale praticati dallo scienziato per iniettare la propria soluzione nel cadavere.
La tecnica della pietrificazione non era stata concepita da Gorini soltanto per gli scopi celebrativi tipici di certa ritualità funeraria ottocentesca. Gorini era semmai intenzionato a offrire il proprio metodo, dietro compenso, ai numerosi tassidermisti che operavano allora in seno alla nascita delle più importanti istituzioni museali di area naturalistica. Inoltre, lo riteneva particolarmente utile nelle aule universitarie e ospedaliere per l’insegnamento dell’anatomia o nel contesto delle prime autopsie giudiziarie. Addirittura, in una nota relazione inviata all’Università di Torino negli anni Sessanta del XIX secolo, Gorini precisa che certi suoi metodi di concia delle pelli si sarebbero rivelati molto utili ai pellicciai. Va da sé che in realtà, Gorini venne chiamato ad adottare il suo metodo soprattutto sulle salme celebri di Mazzini e del romanziere Giuseppe Rovani, pater familias della Scapigliatura e maestro ideale di Carlo Dossi, che non a caso celebrerà nelle sue Note azzurre non soltanto il critico e romanziere che sentiva a sé tanto prossimo, ma anche lo stesso Gorini, ritratto dei panni di un vero scapigliato della scienza, come giustamente ha scritto Giulio Carnazzi.
Ed è proprio una delle note di Carlo Dossi che suggestivamente riconduce al laboratorio dello scienziato quando questi era ancora in vita, indicandovi preparati che ancora oggi riposano dietro alle vetrine della collezione:
Nella biografia di Gorini sarebbe degno di descrizione il suo laboratorio a S. Nicolò (Lodi) ¬– Sistema d'ingresso – La porta che conduce alla "brugna" dell'Ospedale – La stanza piena di fiaschi, e di fiale – La stanza del carbone e del materiale vulcanico – La corte delle fornaci; la corte del crematojo – […] Lo studietto, colle preparazioni. Cadaveri interi e […] teste imbalsamate su busti di gesso: il cuore della fanciulla, della durezza dell'agata; il glande del giovinetto; la mano aristocraticissima.
(Carlo Dossi, Note azzurre, a cura di Dante Isella, Adelphi, Milano 1964, n. 2739)
La mano «aristocraticissima» della quale scrive Carlo Dossi è probabilmente ravvisabile in uno dei reperti più interessanti della Collezione, forse anche per questo suo valore aggiunto in termini di ritrattistica letteraria. Si tratta della mano di una giovane donna e non soltanto sono perfettamente conservati sia l’apparato ungueale e i dermoglifi ma vi si riconoscono ancora i pori della pelle.
Altre informazioni sui preparati pietrificati ci vengono dalla penna dello stesso Paolo Gorini che nei suoi testamenti olografi, editi nel 1881 all’interno della Autobiografia edita postuma a Roma, ne fornisce alcune notizie interessanti. Riferendosi alla famosa Esposizione prevista a Milano per l'anno 1881 e premurandosi di dare disposizioni adeguate, Gorini prescriveva agli esecutori testamentari di inviare al comitato organizzativo alcuni preparati noti al pubblico, quali un rospo, un cuore di ragazzo, «vecchissima preparazione», e, appunto, la famosa testa di contadino del 1843, ricordando anche «una testa di donna che ha capelli conservati d'una bellezza straordinaria”, ma “tanto deformata nel viso, che non so se convenga produrla» (Paolo Gorini, Autobiografia, Dossi, Perelli e Levi Editori, Roma 1881, p. 77), anch’essa tuttora conservata tra le teche della Collezione. Si tratta di un preparato risalente al 1847, come ancora oggi testimonia l’incisione della data alla base del collo.
I preparati per immersione di Paolo Gorini non sono per ora visibili al pubblico e attendono la realizzazione di un allestimento adeguato alla loro presentazione. Vi si annoverano soprattutto preparati di natura neonatale e teratologica. I preparati erano stati immersi in soluzione alcoolica, ormai evaporata. Considerati gli anni nei quali Gorini si dedica alla preparazione anatomica è facile comprendere per quale ragione il liquido conservante all’interno dei vasi utilizzati dallo scienziato per contenere il reperto sia oggi scomparso. Paolo Gorini infatti non si serviva di formalina, dal momento che questa non era ancora stata inventata, ma di alcool puro, molto più volatile, anche dal momento che il contenitore non veniva adeguatamente sigillato. Oggi, all’interno dei vasi, si trovano alcuni preparati ben conservati, completamente bianchi per l’assorbimento dell’alcool.
La collezione Paolo Gorini si trova all’interno dell'Ospedale Vecchio di Lodi. L’ingresso si apre sull’incantevole cornice del chiostro quattrocentesco, detto della Farmacia.
Orari di apertura:
mercoledì dalle 10.00 alle 12.00,
sabato dalle 9.30 alle 12.30,
domenica dalle 14.30 alle 16.30.
Ingresso gratuito
Nata nel 1981 come Museo Paolo Gorini venne da subito ospitata nella ex Sala Capitolare dell’Ospedale Vecchio. A partire dal 2008 i preparati sono esposti in un allestimento rinnovato, rispetto a quello ideato e realizzato da Antonio Allegri. Agli ambienti espositivi si è aggiunta una Sala Conferenze.