Come scriveva Antonio Allegri,
«nelle controversie in cui si dibatteva la geologia, allora ai suoi primi passi, Gorini si inserì credendo di poter ridurre ad una sola causa i principali fenomeni geologici. Secondo lui, quando quella sfera di materia incandescente che in origine era la terra cominciò a raffreddarsi […] rimasero imprigionate sacche di materiali ancora liquidi e impregnati di gas. Questi fluidi, da lui chiamati “plutoni” erano dotati di una dinamica potenziale particolare: vulcani e terremoti erano dovuti tutti ad eruzione di questo materiale “plutonico”. Gorini credeva di poter provare la sua teoria riproducendo in laboratorio, […], i fenomeni geologici […]. Si riteneva pertanto il fondatore della “geologia sperimentale”».
Gli studi geologici, come tutte le scienze di secondo Ottocento, trovavano allora nuova linfa, traendola dagli studi evoluzionistici e nella paleontologia, che vanificava le tesi dei nettunisti e dei plutonisti (come Paolo Gorini), recuperando e illustrando la storia non scritta del mondo. Paolo Gorini, talvolta brillante, eclettico, nonostante le quantomeno fantasiose convinzioni in fatto di geologia, appariva tecnicamente severo, come pure ben capace di evidentissimi scantonamenti in senso romantico, sia nei propri scritti, che risentivano delle infatuazioni ottocentesche per certo Illuminismo appena trascorso sia nei propri esperimenti, talvolta antiquati e ormai inutili dal punto di vista dell’avanzamento scientifico. Di fatto, in termini di geologia, così come nel campo delle preparazioni anatomiche, si nota facilmente l’arretratezza delle prove goriniane, che, pur condotte con una passione fuori dal comune, erano assolutamente inconsapevoli delle ricche bibliografie scientifiche più aggiornate. Paolo Gorini si basava invece su una bibliografia ormai desueta ed è evidente che la sua teoria sui plutoni si inscrivesse in una querelle scientifica ormai tramontata.
Paolo Gorini non era un nome ignoto nemmeno in questo campo di studi. Destavano attenzione non soltanto le sue pubblicazioni sull’origine delle montagne e dei vulcani, ma soprattutto le dimostrazioni pratiche, certamente spettacolari e di chiaro intento divulgativo.
Lo scienziato Giulio Curioni scriveva:
«è già gran tempo che i dotti si occupano di trovare una spiegazione del modo con cui si formarono le montagne, anzi del modo con cui l'intiero globo terraqueo venne a ridursi alla sua forma presente. E molti sanno quali bizzarre opinioni cosmogoniche siano state emesse, non solo nei tempi più antichi, ma anche nello stesso passato secolo [...] Al che accintisi con sommo ardore alla fine dello scorso secolo ed al principio del presente molti valenti cultori degli studi mineralogici di varie parti d'Europa, assistiti più tardi da espertissimi zoologi e botanici che crearono la nuova scienza della Paleontologia, assistiti altresì da illustri matematici e fisici».
Lo stesso Curioni, nel 1852, veniva incaricato dall'Istituto Lombardo di Scienze e Lettere di Milano di redigere un Rapporto sulle esperienze eseguite da Paolo Gorini ad illustrazione della sua opera sulla formazione delle montagne.
Ricordava, invece, Gorini:
«I fenomeni più grandiosi e più appariscenti della geologia sono anche i più facili a riprodursi, e fin dal 1851 pubblicai un libro avente per titolo L'origine delle montagne nel quale, preso in considerazione le varie accidentalità che le montagne presentano, posi in chiaro come colla scorta degli esperimenti riuscisse facile l'assegnarne le vere cause e darne le più soddisfacenti spiegazioni. Questo libro, che poneva i fondamenti di una nuova scienza e rivelava rapporti non sospettati fra i minerali, i vegetali e gli animali, destò nel pubblico un vivo interesse, e varie società, cioè quella d'Incoraggiamento residente in Milano nel Palazzo Durini, l'Istituto Lombardo e l'Ateneo di Brescia, mi invitarono con lettere cortesissime a praticare nel loro seno gli esperimenti relativi alla formazione delle montagne [...] Con un opuscoletto intitolato Gli esperimenti sulla formazione delle montagne feci conoscere il mio programma».
Il resto della vicenda viene raccontato qui dalle parole dello stesso Curioni:
«espose egli tali dottrine nel suo libro Sull'origine delle montagne e dei vulcani, di cui escì in Lodi nel 1851 un primo volume che riguarda la formazione delle montagne del quale unicamente deve occuparsi la Commissione […]. Vediamo ora in qual modo egli narra di essere stato condotto alle sue esperienze. Avendo egli osservate le gibbosità che si produssero in un secchio d'acqua che si agghiacciò, ne dedusse che le catene dei monti avessero potuto sorgere dall'antico liquido terrestre, come quelle gibbosità dall'acqua di quel secchio».
L’11 maggio 1872, in seguito alla discussione sullo schema di legge per la proroga del pagamento delle imposte nei comuni danneggiati dall’eruzione del Vesuvio, l’onorevole Antonio Billia invitava il Governo ad incoraggiare gli studi e le esperienze degli scienziati italiani intorno ai vulcani. Nell’intento di prevenire la furia della lava, il deputato invocava anche «l’alleanza della scienza», ricordando ai colleghi un nome allora tanto noto quanto discusso:
«vive in una piccola città della Lombardia un illustre scienziato […] senza protezioni, senza mezzi, anzi in conflitto con la scienza ufficiale […] parlo del professore Paolo Gorini […] non ignoto al […] ministro delle finanze […] col solo suo ingegno […] ha indovinato il segreto dei vulcani ed ha saputo trovare la ragione della loro formazione […]. Dai suoi studi potremmo ricavarne il vantaggio di prevenire forse dei mali gravissimi […]. Sono meglio spese poche migliaia di lire in prevenire, di quello che molte migliaia per riparare».
Indicando nel Gorini un «nome non ignoto al […] ministro delle finanze», l’onorevole Billia ricordava anche che già nel 1865 lo stesso Quintino Sella aveva pregato il Natoli, allora ministro della Pubblica Istruzione, di inviare lo scienziato sul sito, a spese del pubblico erario, «onde porlo in condizioni di continuare le sue interessanti esperienze». In quel tratto di secondo Ottocento, lo scienziato era già stato invitato a condurre dimostrazioni pubbliche delle proprie osservazioni sulla formazione delle montagne dalla Società di Incoraggiamento che trovava allora luogo a Milano, presso Palazzo Durini, dall’Istituto Lombardo e dall’Ateneo di Brescia (dove però alcuni ostacoli finirono per impedire lo svolgimento regolare degli esperimenti). Né Gorini operò in tal senso solo in Italia: in occasione della prima grande esposizione, a Londra, ancora riproduceva le proprie montagne in miniatura. Effettivamente, la Società d’Incoraggiamento fece modellare alcune riproduzioni geologiche del Gorini e le inviò in dono alle principali Accademie d’Europa, accompagnate da una relazione dettagliata.
Tuttavia, come scrisse il Gorini stesso,
«sbollito il primo entusiasmo, e in ossequio ai geologi ed alle accademie che apertamente mi osteggiavano, si lasciò cadere il progetto […] i miei esperimenti […] trovavano negli scienziati un’invincibile resistenza […]. Riuscì […] inaspettato […] un breve mio scritto avente per titolo “Due fenomeni geologici spiegati per mezzo degli esperimenti plutonici”, che vide la luce nel 1862 nel volume XV del Politecnico».
Gli esperimenti pubblici lasciavano scettici molti esponenti della scienza ufficiale e proprio nell’eminente geologo Antonio Stoppani il Gorini avrebbe finito per trovare un irriducibile detrattore. È chiaro comunque quanto gli studi di quest’ultimo risultassero anacronistici a un occhio attento, dal momento che, come già detto, il dibattito tra nettunisti e plutonisti era stato già messo a tacere alle soglie dell’Ottocento, grazie all’affermarsi di più moderne teorie dettate dalla paleontologia. Nonostante la giustificata avversione dei «naturalisti» nei confronti di Gorini, i giornali riferivano puntualmente delle ultime dimostrazioni pubbliche, sempre capaci di suscitare tanto stupore negli italiani:
«chi si trovò ieri alle due pomeridiane al nostro Politeama al secondo esperimento […] può credere di avere assistito ad una di quelle scene di incantesimi e magia che tanto meravigliavano i contemporanei di Nostradamus. Immaginate la sala del circo involta nella più completa oscurità: nel mezzo una vasta caldaia dove rosseggiano bollendo quattro quintali di lava liquefatta a più di 1000°; e intorno ai banchi della platea e nei palchi, un trecento figure umane, simili a tanti fantasmi, resi immoti dalla più intensa meraviglia […] vicino alla caldaia, agitato e gesticolante come un entusiasta fra le scintille e le nubi infuocate, vera salamandra della scienza, il Gorini alto, secco, dagli occhi grifagni, che stride colla sua voce rauca le spiegazioni dei fenomeni».
La collezione Paolo Gorini si trova all’interno dell'Ospedale Vecchio di Lodi. L’ingresso si apre sull’incantevole cornice del chiostro quattrocentesco, detto della Farmacia.
Orari di apertura:
mercoledì dalle 10.00 alle 12.00,
sabato dalle 9.30 alle 12.30,
domenica dalle 14.30 alle 16.30.
Ingresso gratuito
Nata nel 1981 come Museo Paolo Gorini venne da subito ospitata nella ex Sala Capitolare dell’Ospedale Vecchio. A partire dal 2008 i preparati sono esposti in un allestimento rinnovato, rispetto a quello ideato e realizzato da Antonio Allegri. Agli ambienti espositivi si è aggiunta una Sala Conferenze.