Anni di lavoro e di studi instancabili spesi sulla conservazione delle sostanze organiche, in qualche modo, convinsero Gorini che il suo metodo di pietrificazione, molto costoso, non soltanto in termini economici, ma anche estremamente lungo in termini di tempo, non avrebbe potuto avere che rare applicazioni. Lo scopo principale di uno scienziato come Gorini, invece, era quello di mettere a disposizione della collettività le proprie scoperte, mai prive di una pratica utilità. La pietrificazione dei corpi, nel segno di una preparazione di carattere celebrativo, poteva essere praticata sui corpi celebri di Mazzini, di Rovani o di altri famosi personaggi dei quali, eventualmente, conservare le spoglie; ma certamente non si poteva richiederne la pratica per chiunque, data la difficoltà applicativa del metodo. Inoltre, con ironia, lo scienziato stesso sosteneva che se si fosse pietrificato e conservato il cadavere di chiunque, presto i preparati avrebbero sopravanzato i vivi. Così, sul principio degli anni Settanta del XIX secolo, spinto dall’invito ripetuto di Agostino Bertani e di Gaetano Pini, convinti cremazionisti, Paolo Gorini affrontò, la questione della «morte laica» e dei forni crematori. A muovere Gorini in questa nuova avventura scientifica, era la consueta repulsione nei confronti della decomposizione. In questo senso, la pietrificazione e la cremazione, la pietra e la cenere, citando Angelo Stroppa, rappresentano le due facce di un’unica moneta, spesa al banco di una tanatologia culturale complessa, come fu quella dell’Ottocento.
Lo scienziato scriveva:
Quanto poi succede nella sepoltura è senza confronto più tristo e più ributtante di ciò che sarebbe accaduto al cadavere lasciato sopra la terra; e lo strazio di quelle misere carni dura, come si è fatto notare, un tempo lunghissimo […]. È una cosa orribile il rendersi conto di ciò che succede al cadavere allorché sta rinchiuso nella sua prigione sotterranea. Se attraverso un qualche spiraglio si potesse gittare là dentro uno sguardo, qualunque altro modo di trattamento dei cadaveri si giudicherebbe meno crudele, e l’uso del seppellimento sarebbe irremissibilmente condannato.
Tuttavia, Gorini giunse quasi casualmente all'idea della cremazione:
Il 9 aprile 1872, mentre teneva al fuoco due piccoli crogiuoli ripieni di materia vulcanica, gli sovvenne di un fatto curioso che più di una volta gli era occorso di osservare, "cioè che gli insetti i quali per accidente erano caduti nel liquido vulcanico incandescente, appena che lo toccavano scomparivano risolvendosi in una lucente fiammella". Sospettando che ciò potesse succedere con una materia animale qualunque, da un fegato che aveva in laboratorio, da destinare a una delle solite preparazioni, tolse due frammenti e li buttò nei crogiuoletti pieni di materia vulcanica in fusione. Accadde il previsto: appena a contatto del liquido incandescente i pezzi davano origine a una splendente fiammella e si disperdevano in seno al liquido senza lasciare alcuna traccia.
A prescindere dalla celebre cerimonia cremazionista voluta nel 1822 da George Byron per accomiatarsi dall’amico poeta Percey Shelley, solo negli anni Settanta dell’Ottocento, come ricorda Fulvio Conti, il principio cremazionista cominciò «ad uscire dal ristretto ambito dei dibattiti accademici e ad interessare cerchie più ampie di persone. Tale pratica funeraria si configurava come uno dei temi sui quali le élites riformatrici avrebbero potuto concentrare l’impegno per realizzare significativi progressi nel campo igienico-sanitario e come un valido strumento per affermare istanze di civilizzazione e di laicizzazione della società.
Vide tra i suoi maggiori esponenti Jakob Moleschott, Ferdinando Coletti, Felice Dell’Acqua, Giovanni Du Jardin, Gaetano Pini, Malachia De Cristoforis, Luigi Pagliani, Cesare Musatti e si focalizzò essenzialmente su tre aspetti fondamentali: quello igienico-sanitario, quello medico-legale e quello religioso. I cimiteri erano, per i fautori della «morte laica», veri ricettacoli di infezioni e poteva essere provato, grazie alle nascenti discipline della batteriologia e della microbiologia, che il processo della decomposizione causava l’inquinamento dell’acqua e dell’aria nelle aree circostanti i sepolcri. Se l’editto napoleonico di Saint Cloud, del 1804, veniva esteso anche all’Italia due anni dopo la sua promulgazione, riservando gli spazi extra moenia per la costruzione dei cimiteri e promuovendo di fatto la più moderna separazione tra le città dei vivi e quelle dei morti, la cremazione e la sua riscoperta avvennero ad opera dei philosophes dell’Encyclopédie, soprattutto sull’onda del disagio provocato dalle sepolture all’interno dell’abitato e dentro le chiese. Nella seconda metà del secolo soprattutto, ricorda Sergio Luzzatto, il laicismo conseguente ai difficili rapporti tra Chiesa e Stato ricevette un puntello anche dai rinnovati interessi scientifici sempre maggiormente volti a favore di certo materialismo, che persuase il fronte anticlericale a considerare prioritario sottrarre alla Chiesa il monopolio della gestione dei defunti, mentre quella rimaneva fedele all'avvertimento biblico che l'uomo è polvere e polvere deve ritornare. Certo è che la tradizione cattolica era ed è legata all’inumazione del cadavere ; altrettanto certo è che la Chiesa si è vista costretta nella seconda metà del XIX secolo a difendere con energia tale precetto quando, soprattutto per influsso della Massoneria, sorsero un po’ dovunque centri e società di studio per diffondere la cremazione, esaltata come professione di ateismo. La Chiesa poteva comunque vantare l’appoggio di numerosi scienziati e, fra i molti detrattori della cremazione, spicca soprattutto il nome di Paolo Mantegazza, celebre medico e antropologo.
Sono numerose le testimonianze dell’ostilità della chiesa lodigiana verso la figura del Gorini preparatore anatomico e cremazionista: nel 1851 la rivista «L’Amico Cattolico» lo bollava come “pirronista” e materialista; nel 1863 le monache di S. Anna gli rifiutarono la permanenza nella casa dove egli abitava e nel 1882 si opposero alla proposta della Giunta Municipale di posare sullo stesso edificio la lapide commemorativa dello scienziato.
Nel forno crematorio ideato da Paolo Gorini, la salma, supina su un graticcio, viene spinta all’interno del forno per scorrimento su rotelle. Chiuso il forno, essa viene investita orizzontalmente per tutta la sua lunghezza dalla testa ai piedi dalle fiamme generate da una fornace a legna sistemata dietro e sotto il capo stesso. Il camino del fumo scende dapprima in basso sotto i piedi della salma per poi salire nel fumaiolo. All’inizio di questo una seconda piccola fornace a legna brucia ogni residuo. Un primo forno goriniano venne edificato presso il cimitero di Riolo nel 1877 e nella notte fra il 5 e il 6 settembre dello stesso anno si compì la prima cremazione.
Il forno si alimentava con fascine di legna dolce, circa due quintali per la durata di due ore. Molti cimiteri adottarono il forno goriniano, che venne edificato a Milano (1877, arch. Carlo Maciachini), Cremona (1883, ing. Francesco Podestà), Roma (1883, ing. Salvatore Rosa), Varese (1883, arch. Augusto Guidini), Torino (1888, arch. Pompeo Mariani. Venne inoltre adottato a Londra (cimitero di Woking, 1888, ing. Turner) e a Parigi (cimitero Pére Lachaise, 1887, arch. Formigé).
La collezione Paolo Gorini si trova all’interno dell'Ospedale Vecchio di Lodi. L’ingresso si apre sull’incantevole cornice del chiostro quattrocentesco, detto della Farmacia.
Orari di apertura:
mercoledì dalle 10.00 alle 12.00,
sabato dalle 9.30 alle 12.30,
domenica dalle 14.30 alle 16.30.
Ingresso gratuito
Nata nel 1981 come Museo Paolo Gorini venne da subito ospitata nella ex Sala Capitolare dell’Ospedale Vecchio. A partire dal 2008 i preparati sono esposti in un allestimento rinnovato, rispetto a quello ideato e realizzato da Antonio Allegri. Agli ambienti espositivi si è aggiunta una Sala Conferenze.